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Italia, solidarietà per fermare l'orrore prossimo venturo

In Italia, ogni giorno avvengono sgomberi di accampamenti, baracche, fabbriche abbandonate, ponti. Provate a cercare la parola - chiave "sgomberi" su www.unioneinquilini.it: il concetto e la pratica sono simili assomigliano troppo all'operazione Murabatswina (butta via l'immondizia) dello Zimbabwe di Mugabe.

Vincenzo Simoni

18 maggio 2008

Sono infatti ormai decine di migliaia di persone, migranti, rom, poveri, vecchi, donne e bambini inclusi, sgomberate, sempre più in là, da amministrazioni comunali incattivite, attaccati con le molotof e con gli sputi da gruppi di razzisti. Condannati senza appello dal governo di destra che, mentre sta preparando leggi inumane e fasciste, si fa vanto di rispettare il mandato degli elettori.

Così vogliono distogliere l'attenzione dalla profonda crisi economica e sociale del paese, scaricando le colpe sul nemico di turno, per concentrarsi invece sul saccheggio.

Così è cominciata la tragedia della ex Yugoslavia.

Reagire si deve e si può: un articolo-appello dal segretario dell'Unione Inquilini alla comunità internazionale solidale.

1938. La Spagna repubblicana circondata e aggredita. Destre estreme in Germania e in Italia, destre clericali e conservatrici nell’Austria mutilata, nel Regno di Jugoslavia, in Ungheria, Romania, Polonia. Tutti antisemiti, e l’odio cresceva anche in Francia. Sulla cosiddetta congiura ebraica contro gli Ariani Celine (quello di “Viaggio al termine della notte” e di “Morte a credito”) aveva prodotto un libello spaventoso: “Bagattelle per un massacro”. E il massacro ci fu; non solo Ebrei, zingari e comunisti, ma a cascata Polacchi e Russi, slavi e italiani, e infine toccò a oltre tre milioni di tedeschi. Hiroshima e Nagasaki chiusero la partita della mattanza giapponese.

Che sta succedendo ora?

Siamo ai conati di vomito, a farse tragiche. Sostituiti agli Ebrei i Rom? Pazzesco; baracche e sudiciume, bambini scalzi e mendicanti, qualche ladruncolo e sfruttatore… Questa sarebbe la minaccia fatale? Per che cosa e a chi?

Buttarli fuori, lontano… incenerirli! Per raggiungere che cosa? Per tranquillizzare chi? Il sonno dei depressi, del declassati, delle periferie che s’arrabattano, dei supermercati angoscianti, nella desolazione dei condomini dove il silenzio è rotto periodicamente dalle autoambulanze che deportano l’anziano in fin di vita …da dove non farà ritorno?.

O per confinare il giovane popolo precario, a cui magari non tornano i conti, a cui si prospetta l’unica reazione possibile, quella dei giovanotti rasati e sbalestrati e palestrati, delle tifoserie schizzate nella testa, e lo si salda, quando ha qualche ritaglio di tempo e qualche soldo, ai flussi delle bande che imperversano nelle notti pisciose nelle nostre estenuate città storiche?

I roghi deprecati – lavoro sporco che fa pulito – abbacinano la frustrazione di un altro popolo: quello dell’assistenza non data, dei bandi per case popolari inesistenti, della rancorosa guerra tra i poveri per i residui della gran tavolata.

Certo, c’è anche lo stupore; i “coloured” prevalgono nelle antiche piazze dei mercati, sono loro i viaggiatori dei metrò, vai a Roma ed esci da Termini e la città ha un sapore diverso.

Qualche disagio mentre cammini, mentre sali e ti sposti. Qualcosa è cambiato e non ti piace; sai che così vanno le cose del mondo ma resta un rimpianto per qualcosa che magari era solo nella tua immaginazione.

C’è chi teorizza il meticciato, intravede scenari culturali emozionanti, scrive sulle riviste, partecipa a convegni illuminanti, sottoscrive appelli contro il nuovo fascismo. Quanto distanti dalle recriminazioni torve del popolo dei crocicchi e degli androni!

Si sta peggio in Italia; molti stanno peggio. Ma altri stanno molto meglio.

Quanta soddisfazione per i ricchi il permettersi di spendere, di non curarsi dei costi della benzina, di pagare come cosa giusta e naturale dieci euro per un boccaletto di birra! E le vacanze ? Diradate dai buzzurri, che non se le possono permettere; ora si starà più larghi! I ristoranti s’affinano, ci si ritrova nel fittness, ganzi gli oggettini, che non valgono nulla, pagati a peso d’oro.

La ricchezza è di classe, la massa retrocede. Statevene a casa e avvelenatevi con le merdate dei sette canali TV ! E allora? Non è facile. Anzi, è terribilmente difficile. Ma qualcosa va fatto.

***

Non sganciano un euro. Ecco che ora passo alle povere cose nostre.

Eravamo riusciti, dopo passaggi asfissianti, un primo decreto nel febbraio 2007, tre mesi di incontri nazionali, un altro decreto, una legge, lo stanziamento… s’era arrivati a dicembre a … 550 milioni di euro per far passare da casa a casa qualche migliaia di sfrattati. Altri passaggi, decreto di suddivisione tra comuni, attribuzione della somma “per competenza”. Ed oggi non un euro è passato nelle casse dei comuni che dovevano far case popolari o recuperarle da quelle in rovina. Più di un anno per niente.

E il contributo all’affitto? Una miseria, 220 milioni d’euro per tutti gli inquilini sculati, di tutt’Italia; meno di qualche aereo da combattimento!

Si va avanti così, e si fa ancora peggio. Dopo sette anni di carte e cartacce, scartoffie, programmi e suddivisioni, accordi ed accordicchi, siamo alle prime assegnazioni di alloggi a canone concordato; è il cosiddetto piano dei 20.000 alloggi in affitto, realizzati da privati o cooperative.

Affitto, per quanto? Moderato, dicono. Poi l’esosità si manifesta; è passato del tempo dai bandi (due-tre anni) e si aggiorna il tutto con l’inflazione; sono alloggi locati da imprese, ci si mette anche un IVA del 10% a carico degli inquilini. E si sale ancora: un alloggio di 50 mq diventa di 70, perché non si calcola più con l’equo canone ma con la superficie commerciale (muri compresi!). Gente strozzata, pensionati allibiti, vanno negli uffici, urlano l’indignazione.

E’ tutto così. E tutti zitti, trasversali affaristi, trasversali assessori, da Milano a Firenze, da Bologna a Roma; un magna magna ributtante. Ecco l’origine dello sbandamento; perché i bandi ci sono, le graduatorie anche, e ai primi posti ci sono loro, gli odiati extra, i cognomi alieni, quelli che “si prendono tutto”. Tutto di che? Di quasi nulla.

Quasi dieci anni fa a Firenze un sindaco lapiriano, Mario Primicerio, realizzò, con fondi internazionali, quattro baracchette di legno, prefabbricate, per alcune famiglie rom. Apriti cielo! A loro le villette, a noi gli sfratti. E queste “ville” ritornano nei turpiloqui di AN e Forza Italia; fanno notizie, e quale gusto nell’improperio popolare. A loro tutto, a noi nemmeno un sussidio!

E’ vero, qualcosa è alla base dell’enfasi feroce. Che per i bisogni primari non si spende, che si lesina, che si fa tirare la lingua. Che non si fanno più piani di edilizia pubblica, non si riservano quote di aree nelle industrie dismesse, che al contrario si sgombrano manu militari le occupazioni – in prima fila i sindaci del PD. E' tignosa la commistione con affaristi riciclatori, quelli che hanno messo gli occhi su tutto.

Questo è lo scenario, uno scenario di classe. E allora?

Che fanno i 600.000 nuclei famigliari presenti nelle graduatorie per le case popolari; che fanno? Stanno al calduccio o s’arrangiano con il subaffitto, o a qualcosa di peggio? E’ forse questo il silenzio degli incoscienti?

E come li raggruppi? O meglio ancora, vogliamo tentarlo, sì o no? O pensiamo che i numeri siano davvero potenza, che si fa massa con il bisogno e basta?

Ecco cosa vuol dire “soggettività” dell’organizzazione. Decidere di cominciare, mettere insieme quello che si può, in ogni città e poi collegarci e poi – con gli indigeni di casa nostra miscelati con attenzione ad altri precari della casa – apparire davanti ai palazzi comunali, andare a Roma, e presentarci a Porta Pia, dove si dovrebbe decidere.

Che altro si può fare se non questo? Anche occupare, certo, anche prenderci una caserma dismessa, ma non sempre e solo con le facce scure dei migranti. Io non so che altro dire; ci si unisce per interessi comuni, ma insieme dobbiamo esporci; non basta pietire un diritto per nascita e residenza.

Altre cose ancora; banali, sul carovita, bollette da urlo, silenzi delle masse, incontri tra Scaiola e i petrolieri, qualche boutade di Tremonti. Ma mica fa sul serio!

E qui come fare? Con sigle depotenziate? O con qualcosa che si mette a disposizione, i militanti per partire, le sedi per farci riunire, le fotocopiatrici, i telefoni, i collegamenti. Un servizio che non è succube, deriva da una scelta verso la creazione di nuclei di “massa”. Possono essere in pochi all’inizio ma si aprono alla gente che va con rabbia e umiliazione a far la spesa, che protesta per gli abusi dei gestori dell’acqua, dei gas e della luce; per non limitarsi al lamento, per cominciare a pretendere.

Ora, c’entra tutto questo con i fattacci di questi giorni?

Altroché; tutto questo va oltre: si collega alla resistenza dei quartieri al degrado che non è solo dei viados! Alla sofferenza per gli sventramenti, per i grandi inutili lavori, per il ricatto dei rifiuti da incrementare e da incenerire.

Piano piano tutto si tiene. Ma si comincia sostenendo il bisogno di rivolta dei sofferenti, degli umiliati, di chi retrocede in reddito e dignità.

Non pretendo di aver detto tutto – non è ancora la rivoluzione; non ho detto sulle questioni dell’austerità nei consumi, sulla necessità di una decrescita guidata, sull’alternativa alle rottamazioni imposte, sulla protezione intransigente dell’occupazione quando si smantella e si sposta.

Ho detto qualcosa sulla resistenza sociale, da promuovere - e non dopodomani - con il massimo possibile di lucidità.